Domenica 21 maggio
h12.00 INAUGURAZIONE DI QUESTE 3 MOSTRE FOTOGRAFICHE
Le mostre rimarranno esposte fino al 28 giugno.
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The victims of our wealth – Life in Sodom and Gomorrah
di Stefano Stranges
“Life in Sodom and Gomorrah” è la continuazione di un reportage a lungo termine intitolato “The victims of our wealth”. Riguarda la filiera del materiale tecnologico, iniziato nelle zone del Nord Kivu (DR Congo), ossia quelle zone minerarie dove viene estratto il minerale fondamentale per la produzione degli Smartphone e dei materiali Hi-tech. In questa sezione ho sviluppato il lavoro entrando negli spazi intimi delle persone che vivono la loro quotidianità all’interno di Agbogbloshie, la discarica nera dell’Occidente. Ad Accra la popolazione chiama questo inferno, che si estende in pieno centro della capitale ghanese, “Sodoma e Gomorra”. E la reminiscenza della catastrofe che echeggia in questi due nomi è scolpita nell’aria che si respira. Una quantità inimmaginabile di E-waste, proveniente in prevalenza da Europa, USA e Australia, arriva tramite enormi Container via mare e approda a Tema, uno dei più importanti porti del West Africa.
Parte di questo materiale tecnologico di seconda mano, apparentemente “donato” dalle grosse Imprese Occidentali, è in realtà vera e propria spazzatura, che viene spedita dove il potere locale può facilmente farla passare, per vie illegali, attraverso metodi di smaltimento e riciclaggio molto più “economici”.
Qui a Sodoma e Gomorra gli scarti tecnologi dell’occidente vengono bruciati, selezionati, riciclati e rivenduti, per rientrare poi di nuovo in parte nel ciclo della vendita. Si calcola che ci vivano 80 mila persone, per lo più migranti interni, provenienti dal Nord e dalle aree più depresse del Ghana. Anche in questo caso loro, le “Vittime della nostra ricchezza”, nella piramide dello sfruttamento della E- Waste occupano solo il gradino più basso. L’intento di questo lavoro è quello di sensibilizzare il pubblico su una maggior consapevolezza del terribile impatto ambientale e umano che questa filiera può avere su questi territori e non solo. Così come nella prima parte di questo reportage, attraverso l’arco delle lunghe giornate in questo limbo di terra, voglio dare voce al dramma che sta dietro a una filiera che come tragicamente comincia, così finisce.
STEFANO STRANGES – BIO
Stefano Stranges è un fotografo free-lance nato a Torino nel 1978.
Laureato in Comunicazione Interculturale all’Università degli studi di Torino, le sue esperienze e competenze fotografiche provengono dal campo analogico. Dal 2005 lavora come free-lance. Tra le sue collaborazioni, nomi come Allianz, Unicredit, Generali, Ambasciata del Brasile, RSA Assicurazioni, Coopi ONG, Ello y Ella magazine (Peru), Rolling Stone magazine (Italy), Jesus magazine (Italy).
Nel gennaio 2012 frequenta il “Masterclass” della rinomata agenzia fotografica MAGNUM focalizzato in fotografia reportagistica in zone di conflitto. Attualmente il suo lavoro si sta focalizzando sempre più nel campo reportagistico, con particolare interesse ai progetti sociali. Nel Marzo 2012 inizia il suo progetto fotografico/sociale intitolato “HOMELAND”, che lo porterà in svariati luoghi del Mondo, un Work-in Progress, una grande ricerca sulla convinzione che, nonostante le difficoltà e il disagio di alcuni ambienti della Terra, l’uomo riesce a trovare la protezione nel proprio umile “nido”. Durante le sue ultime tappe, è stato invitato a presentare ai giovani studenti il suo operato in alcuni college tra India e Bangladesh e in particolare nella nuovissima e prestigiosa Palan School of International Studies di Calcutta. Nel 2014, sempre grazie al suo progetto HOMELAND, è stato invitato dalla ONG indiana Trunk Call, in collaborazione con Slice of Art di Mumbai, a tenere un seminario/workshop proprio a Mumbai. Nel 2016 inizia il progetto legato alla filiera del Coltan, un minerale utilizzato in particolare per la produzione di materiali tecnologici come lo smartphone e i tablet, partendo dalla sua estrazione nelle aree minerarie del Nord Kivu, in RDCongo, dal quale nasce la sua mostra itinerante “The victims of our wealth”.
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Waria: being a different muslim
di Fulvio Bugani
l’Indonesia è il paese che ha la più alta concentrazione di musulmani al mondo, circa 203 milioni di fedeli che rappresentano l’87,2% della popolazione indonesiana ed il 13,1% di tutti i musulmani del mondo. La legge islamica vieta a uomini e donne di scambiarsi i ruoli e di adottare l’aspetto gli uni degli altri. Questo comporta automaticamente una stigmatizzazione ed un certo grado di allontanamento dalla società di tutti quegli individui che oltrepassano i confini di genere. In Indonesia i transessuali sono conosciuti come “waria”, un termine che è la combinazione di altri due: “wanita”, donna, e “pria”, uomo. La sola area di Yogyakarta, con i suoi 3 milioni di abitanti, conta circa 300 waria, che vivono in comunità isolate. Molti di questi professano la religione islamica in quanto religione ufficiale.
Nonostante i waria vivano marginalizzati e discriminati, specialmente dagli islamici più radicali, a Yogyakarta hanno raggiunto un discreto livello di accettazione tanto che molti transgender si trasferiscono in questa città dalle altre isole dell’Indonesia. Per questa ragione Shinta Ratri, attivista LGBT, leader della comunità waria, gestisce qui una scuola coranica per transgender (chiamata “Pondok Pesantren Waria Al-Fatah”), l’unica di questo tipo in Indonesia e probabilmente nel mondo. Più che una scuola, si tratta di un punto di ritrovo e di preghiera, dove le persone LGBT si possono incontrare, discutere di religione e pregare. Shinta Ratri è una transgender di 53 anni, molto orgogliosa di essere donna e di essere musulmana. Come tutti i transgender dedica molte attenzioni al suo aspetto fisico e a tutto ciò che la identifica come donna. Per questo negli anni si è sottoposta ad iniezioni sottocutanee di silicone che con il passare del tempo hanno deturpato il suo viso. Vive insieme ad alcuni transgender e ad una figlia, adottata da uno dei suoi due precedenti mariti, a Kodagede in una grande casa in stile balinese dove ospita la scuola coranica. Come attivista organizza incontri per promuovere l’integrazione e il dialogo religioso.
FULVIO BUGANI – BIO
Fulvio Bugani è nato a Bologna nel 1974. Ha iniziato a lavorare come fotografo nel 1995. Dopo una stretta collaborazione con i più importanti studi di Bologna fotografici, ha fondato il suo studio nel 1999 – Foto Immagine.
Fotografo professionista freelance da oltre 15 anni, collabora con le associazioni e le ONG. Fa parte del TAU Visual (Associazione Italiana di fotografi professionisti) e NPPA (National Press Photographers Association). Collabora attivamente con MSF (Medici Senza Frontiera) e Amnesty International, per la quale ha partecipato a diversi progetti in materia di diritti umani, l’immigrazione clandestina e il diritto alla casa. Insegna fotografia nella sua scuola fotografica privata a Bologna, così come in seminari e workshop. Autore di numerosi volumi fotografici, è stato selezionato come vincitore in prestigiosi concorsi internazionali quali World Press Photo 2015, Leica Oskar Barnack Award 2016, Kuala Lampur International Photoaward 2016 e molti altri.
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The happy show
di Giulia Mangione
Happy Show è un progetto sulla cultura e la società e vuole essere un commento sul fatto che la Danimarca si presenta come il paese più felice del pianeta. Infatti il World Happiness Report, uno studio dello stato di felicità globale pubblicato ogni anno a partire dal 2011 dalle Nazioni Unite, ha proclamato la Danimarca il paese più felice del mondo, sia nel 2013 sia nel 2016.
Il progetto è allo stesso tempo un viaggio attraverso ciò che è la Danimarca oggi e ciò che, ai nostri tempi, viene considerato come felicità. Le immagini cercano di osservare la società danese da entrambi gli aspetti, quello esterno e quello interno, mostrando la facciata della vita delle aree suburbane, le ritualità e gli stili di vita di varie comunità, come i gruppi di giovani cattolici, nei festival musicali, nei campeggi per nudisti o mostrando i danesi in vacanza nel loro paese. Mostra la vita familiare dietro quelle alte pareti di verde che proteggono la privacy della casa danese, le celebrazioni dei matrimoni o di compleanni di persone anziane.
Il mio obiettivo è quello di esplorare ciò che la felicità è nel paese più felice del mondo. Quello che voglio trasmettere dei danesi, è simile a quello che il fotografo Tony Ray Jones espresse circa gli inglesi, cioè per comunicare qualcosa dello spirito e della mentalità degli inglesi, le loro abitudini, il loro modo di vivere, le ironie che esistono in il loro modo di fare le cose, in parte attraverso le loro tradizioni e in parte attraverso la natura del loro ambiente. Per me c’è qualcosa di molto speciale modo di vivere inglese e vorrei evidenziarlo dal mio particolare punto di vista. L’immagine che ne risulta credo sia una felice, spontanea, genuina, socievolezza mista a un pizzico di eccentricità. E ‘una dichiarazione d’amore a un piccolo paese che ho esplorato in un viaggio solitario nella terra dei Danesi. [ Giulia Mangione]
GIULIA MANGIONE – BIO
Giulia Mangione (1987) è una fotografa documentaria con un occhio per situazioni ironiche che rivelano la fragile, controversa e peculiare natura dell’essere umano. Dopo aver conseguito una laurea triennale in Lingue e Letterature Straniere, vince una borsa di studio per frequentare la Scuola Romana di Fotografia a Roma, dove studia fotogiornalismo e ritratto in studio per due anni. Nel 2012 riceve un MA dalla Goldsmiths University of London in American Literature & Culture. A Londra lavora come intern da MACK Books, prima di diventare Assistant Photo Editor presso The Calvert Journal, una rivista online dedicata all’arte e cultura russa. Nel 2014 studia Advanced Visual Storytelling alla Danish School of Media and Journalism (DMJX) in Aarhus, Danimarca.
Al momento vive e lavora fra Italia e Scandinavia, dove continua a lavorare ai suoi progetti documentari a lungo termine.In Italia insegna fotografia alla Florence University of the Arts. Il suo lavoro é stato pubblicato su Süddeutsche Zeitung, Riders Magazine, Internazionale, Repubblica, Il Reportage, Kustom mag e Information. Nel 2017 ha fatto parte della pubblicazione collettiva Golden Records, curata dalla Fotogalleriet di Oslo. Le sue fotografia sono state esibite a Londra (Street Photography Festival 2011), Roma, (Obbiettivo Donna 2015, Fotoleggendo 2016), Cortona On the Move 2016, Migrationsmuseum Zürick 2016.
Ha vinto il primo premio a Fotoleggendo 2015 (Roma) e il terzo premio al NPPA Best of Photojournalism 2015 nella categoria Personality Profile or Lifestyle Magazine Story Category, con menzione d’onore per la categoria Magazine Cover.