Eriberto Gualinga è un fotografo, regista e musicista appartenente al popolo dei nativi Kichwa di Sarayaku, una comunità originaria dell’Amazzonia Ecuadoriana. Una comunità che, come spesso dice Eriberto, “no solo vive en la selva, sino que vive de la selva”, ovvero che non solo vive nella foresta, ma vive della stessa, nutrendosi di ciò che offre, basando la sua intera sopravvivenza sulla relazione di scambio paritario con l’ambiente che li ospita da millenni. Loro la rispettano, la tutelano, la curano e in cambio vi ricevono sostentamento.
Esattamente come noi basiamo la nostra esistenza sulla relazione di scambio monetaria e quindi con le banche, non credete??!! La comunità di Eriberto non conosce banche. Lui racconta divertito di quando, l’anno scorso, gli negarono il visto per uscire dall’Ecuador perché non si capacitarono del fatto che non avesse alcun conto bancario. Per fortuna qualcuno poi glielo ha spiegato, qualcuno con più potere politico ed economico del “povero” Eriberto che gli aveva risposto semplicemente: “El dinero que tengo es lo que llevo en el bolsillo” – “I soldi che ho, sono solo quelli che ho nel portafoglio”.
E così, per fortuna, grazie ad Amnesty International lui, assieme ad altri rappresentanti della sua comunità, poterono partire per il Costa Rica.
É lì che i nativi Kichwa hanno affrontato e vinto il processo contro il governo ecuadoriano, accusato, dinanzi alla Corte Interamericana dei Diritti Umani, di aver permesso ad una compagnia petrolifera argentina di penetrare nel territorio Sarayaku ed iniziare uno sfruttamento dello stesso, senza aver in alcun maniera informato ed ascoltato la volontà degli abitanti locali. Per fortuna quello sfruttamento, al di là delle tonnellate di esplosivo che sono ancora nel sottosuolo, non ha comportato altri danni alla foresta e alla comunità locale.
Una sentenza storica del 2012 lo ha bloccato. Una sentenza per la quale la comunità ha combattuto durante 10 anni, utilizzando un’intelligente strategia di comunicazione e di utilizzo dei mass media. Per questo Eriberto è diventato regista, per questo ha diffuso diversi documentari che potessero permettere al mondo di mobilitarsi per la sua storia e per quella di altre comunità di nativi del sud e centro America, continuamente messi in pericolo dall’avanzare minaccioso degli interessi delle multinazionali. L’importante sentenza ha affermato il diritto dei popoli nativi ad essere riconosciuti come proprietari delle loro terre ancestrali e delle risorse naturali tradizionalmente utilizzate che si trovano in esse. Nel caso in cui i governi volessero utilizzare tali risorse dei territori indigeni saranno obbligati a realizzare previ studi di impatto ambientale e sociale, ad avere il consenso dei popoli coinvolti e, nell’eventualità, a condividerne con essi i benefici.
Grazie al suo ultimo documentario – I discendenti del giaguaro – che in queste settimane Eriberto sta promuovendo in Italia e in Europa, ho avuto l’onore di conoscere il giovane regista. Mi sono complimentata con lui per il grande lavoro artistico in difesa della sua comunità e delle sue terre, ma nella mia testa ronzavano già domande che, da divoratrice di viaggi, non sono proprio riuscita ad evitare: “E’ possibile visitare la tua comunità? Come ci si arriva? Arrivano turisti di solito? E come? Dove dormono? Quanto restano? E di dove sono? E che rapporto hanno con voi? E…”.
Si, come al solito ero una valanga in piena. L’ho sommerso di domande, preoccupata delle risposte dato che nei suoi video i trasporti erano tutti in elicottero!! “Affrontare la Foresta Amazzonica a piedi forse è un po’ troppo anche per te!” ho pensato. E mentre già rimuginavo su come affittare un deltaplano, una mongolfiera o similari, Eriberto mi disse sorridendo che era possibile raggiungerli in canoa e che sul loro sito potevo trovare chi organizzava tali viaggi. Felicità o amarezza? Un po’ entrambi. Il turismo ha veramente raggiunto tutti gli angoli della terra? E’ giusto tutto questo? C’è ancora qualcosa di totalmente puro, di integro? La fame di noi viaggiatori è veramente così avida da aver ingoiato ogni pezzettino di globo? Mi sentivo in colpa o entusiasta? Tante domande ed altrettante non risposte mi hanno accompagnato a casa quella sera.
Ce ne era una però alla quale potevo rispondere. Che tipo di turismo viene fatto nella comunità Sarayaku? Fu quella a non lasciarmi dormire. Avevo paura che un tour operator di viaggi extralusso scarrozzasse vip e facoltosi su un jet privato fino a lì, dove gli stessi avrebbero fatto ben 5 minuti di lavori manuali con Eriberto e la sua famiglia, tra una caccia al giaguaro e una all’elefante, giusto per portare a casa testimonianza della loro sensibilità filantropica. Per fortuna la pagina sarayaku.org mi ha condotto invece al Tour Operator Papango Tours, specializzato nel turismo comunitario.
La Papango Tours è una famiglia di indigeni Kichwa di Sarayaku e Pastaza della Amazzonia Ecuadoriana che, dal 1993, grazie all’appoggio della OPIP (Organización de los Pueblos Indígenas de Pastaza) e di alcune ONG (Maison des Amis du Tiers-Monde, Frontera de Vida, Volens, Oro Verde,…), organizza viaggi nelle comunità indigene dell’Amazzonia Ecuadoriana (Achuar, Huao, Kichwa, Shiwiar, Shuar, Zapara, Andoas…).
“Il Turismo Comunitario è la relazione tra la comunità e i suoi visitatori da una prospettiva interculturale, nel contesto di viaggi organizzati, con la partecipazione consensuale dei suoi membri, garantendo l’utilizzo adeguato delle risorse naturali, la valorizzazione dei patrimoni, i diritti culturali e territoriali delle nazionalità e dei popoli, per la distribuzione equa dei benefici generati”. Questo è il manifesto di Papango Tour, questo è l’unico turismo che i Kichwa di Sarayaku vogliono nelle loro terre:
‘’Somos responsables de lo que nos proporciona la naturaleza. Para vivir en harmonía con ella, debemos utilizarla racionalmente y vivir en un entorno sano, bien de salud física y mental. Todo lo que existe en la humanidad tiene una razón de existir, los recursos naturales no son una excepción, el petróleo no es una excepción. Para mucha gente, lo que digo podría sonar poético e irreal; sin embargo, lo que digo es real igual que la misma vida”. (Sabino Atanacio Gualinga Cuji)’’
D’altronde una comunità che si è battuta con tutti i mezzi a sua disposizione in difesa della propria terra avrebbe mai potuto accettare un altro tipo di turismo? Forse si, a volte il dio denaro è riuscito a comprare anche dignità ed orgoglio, ma, per fortuna, non è questo il caso.
Redazione Blog IT.A.CÀ
Sara Petrozzi
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