Ciao compagni e compagne di viaggio! Oggi ci dirigiamo alle porte del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, alla scoperta del Comune di Ussita, in provincia di Macerata, per immergerci nel sapore autentico della sua resiliente comunità.
Ci troviamo alle pendici del Monte Bove (2.169 m s.l.m.), dove la tappa IT.A.CÀ Parco Nazionale dei Monti Sibillini svilupperà dal 5 all’8 ottobre la XV edizione del festival declinando il tema nazionale 2023 “Tutta un’altra storia – Le comunità raccontano i territori”.
Quella di Ussita è una comunità estremamente eterogenea. Parliamo di una comunità che non si fa abbattere dalle avversità (basti pensare ai terremoti del 2016/2017), ma che anzi si rafforza nello spirito e mantiene viva la volontà, la passione e la cura di onorare e tramandare le proprie tradizioni identitarie. Dopo oltre trent’anni di sospensione, ecco infatti che gli abitanti di Ussita hanno riportato nella valle l’antica tradizione del Piantamaggio.
Oggi, con noi, abbiamo Roberto Rettura, socio fondatore dell’Associazione C.A.S.A – Cosa Accade Se Abitiamo e uno dei coordinatori della tappa IT.A.CÀ Parco Nazionale dei Monti Sibillini insieme ad Alcina, Arquata Potest, Il Giardino delle Farfalle, Monte Vector e L’Occhio Nascosto dei Sibillini.
Cosa ha acceso il desiderio di riportarlo alla luce lo sappiamo: trascorrere tempo insieme a ricordare un’identità un po’ sommersa. Ciò che l’ha fatto interrompere è meno noto, ma probabilmente è stato qualcosa che ha a che fare con un modello di sviluppo più dedito al turista piuttosto che alla cura della propria comunità, oltre al noto fenomeno dello spopolamento che negli ultimi 50 anni ha caratterizzato tutto l’arco Appenninico, e non solo.
Ciao Roberto. In cosa consiste il rito del Piantamaggio?
Il Piantamaggio è un antico rito pagano, inno alla fertilità e saluto alla primavera. La tradizione vuole che si scelga (e che siano le donne a farlo) un albero di faggio, anche chiamato il maggio, il più alto e longilineo, armonioso e non curvo, di un diametro non superiore ai 30/40 cm. Insomma, deve essere il più bello. Alcuni ci hanno raccontato come il 30 aprile questo simbolo di fertilità veniva preso – o rubato? – dai giovani del paese, tagliato e portato in piazza, o in un luogo comunque centrale per la comunità. Dopo averlo pulito dalla corteccia tutti insieme, preferibilmente dalle donne, veniva piantato e innalzato dagli uomini, incitati dalle signore. Seguivano canti vivaci e abbondanti libagioni.
Una festa di Primavera per introdurre anche con un po’ di malizia i giovani uomini (ma anche le giovani donne) all’età adulta. Una festa di augurio e di speranza affinché il maggio e i mesi a seguire, siano fiorenti come la natura ha insegnato a essere in questi posti meravigliosi e al tempo stesso feriti.
Quali differenze e peripezie si vivono nella valle durante questo rito?
La tradizione del Piantamaggio non è esclusiva di Ussita, ma in ogni paese si è caratterizzata in modo diverso. Ad esempio vicino Norcia, a Campi, piantano un pioppo altissimo che alzano con una gru, noi invece il faggio lo issiamo con braccia e funi. Oppure un signore di San Vicino, nei pressi di Matelica (sempre nel maceratese) ci ha raccontato che in passato per evitare di farselo tagliare, il maggio lo sorvegliavano per un mese intero, da noi invece, il dispetto lo si considera da farsi la sera stessa… Intanto che scriviamo abbiamo scoperto che qualcuno l’ha tagliato a noi, a qualche giorno di distanza dal maggio, allora con alcuni del posto stiamo scrivendo dei nuovi stornelli per sfotterli perché pare che il furfante sia stato qualcuno che il 30 aprile di certo non era a piantare un albero nel suo paese e quindi…
Ecco maggio dei vigliacchi
Quelli che c’han troppi acciacchi
Con ritardo vanno a segare…
solo quello sanno fare!
Solo invidia e del dispetto
a guidar quei cuori in petto.
Forse il maggio l’han tagliato
Chi a casa non l’ha piantato…
Come vive la gente del posto questo momento di condivisione, identità e partecipazione?
La partecipazione non riguarda solo gli abitanti, ma anche chi di questi luoghi ha e porta una sua memoria, anziano e meno anziano che sia. Quest’anno sono arrivate tantissime persone anche da fuori, attirate dalla curiosità, dalla voglia di conoscere ma soprattutto di vivere questo rito, attraverso il quale potersi unire o riunire o interagire e conoscere la comunità.
Ussita è un paese pieno di seconde case, proprietari che da 6 anni e a causa dei danni anche alle loro case, hanno difficoltà a mantenere un legame con la comunità. Il Piantamaggio può essere un’occasione anche per riavvicinarsi un po’ tutti. Dopo averlo piantato siamo andati in giro per le SAE (Soluzioni Abitative Emergenziali, le case dove vivono attualmente i residenti in attesa di ricostruzione) a cantare con i musicisti e lì mi sono accorto davvero quanto l’interesse non si è limitato all’evento in piazza, ma ha dato occasione ai più di essere parte attiva della festa.
Esperienze come quella del Piantamaggio che non si limitano all’essere “instagrammabili” ma sono qualcosa di più “sentimentale”, riguardano lo stare insieme anche se si parte da esperienze e territori diversi, uno spazio nel quale si può essere tutti partecipi ed entrare in profonda relazione con le persone del luogo. Un concetto identico a quello di NONTURISMO, che abbiamo fatto emergere nella guida “Ussita, Monti Sibillini: Deviazioni Inedite raccontate dagli abitanti” (pubbicata nel 2020).
Molti adulti e anziani, ma pochi giovani. Cosa ci dici della situazione ad Ussita a fronte dello spopolamento?
Ussita è uno dei tantissimi paesi delle aree interne che ad un certo punto ha adottato un modello di sviluppo legato al turismo di massa. Un turismo poco sostenibile e piuttosto impattante (parliamo del turismo dello sci da discesa con i suoi impianti e infrastrutture), ma moltissimi qui ricordano quei primi anni in modo affascinante: c’erano tantissime persone, c’erano opportunità di lavoro, c’era vita. Quella monocultura si è identificata con l’identità e col tempo ha lasciato un vuoto, come tutti i modelli di questo tipo, soprattutto in Appennino.
Nonostante ci sia potenzialmente la possibilità di proporre molte attività per chi viene da fuori (qui, purtroppo ancora inagibile, c’era persino il Palazzo del ghiaccio più importante del Centro Italia, tra pattinaggio, hockey e professionismo), in pochi mettono a sistema il valore di stare in un Parco Nazionale, all’interno del quale si possono realizzare tantissimi progetti di sviluppo – sia a livello sportivo che naturalistico, ma anche culturale o di formazione – per rilanciare in modo sostenibile e responsabile (parole che conosciamo bene) l’economia di questi luoghi.
La rete di IT.A.CÀ raccoglie moltissime di queste esperienze in tutto lo stivale, basterebbe guardare solo un po’ più in là. Oggi più che mai l’essere umano ha bisogno di “fare ordine”, tra abbandono e conservazione, tra responsabilità e sfruttamento, tra futuro e passato. Abbiamo bisogno, come accadeva più di 50 anni fa, di re-imparare a prenderci cura dei territori, di curare i boschi e i letti dei fiumi, di tutelare la biodiversità e lavorare per valorizzazione di quello che in alcuni casi si definisce il capitale naturale. Che poi è il posto in cui abitiamo.
Cosa significa per te il tema IT.A.CÀ 2023 “Tutta un’altra storia – le comunità raccontano i territori”?
Quello dei Monti Sibillini è un territorio ricco di bellezze naturali e geologiche, ma anche di storia locale, cultura e antiche tradizioni, le stesse che rischiano di scomparire giorno dopo giorno. Chi ha vissuto il dramma dei sisma del 2016/17 ha dovuto resettare tutto. La storia di queste comunità è la storia del nostro paese, un paese fragile nel quale le comunità, sempre più comunità, devono fare i conti con l’emergenza di questa fragilità. È importante prima di tutto per questo. E poi perché la speranza – ormai è chiaro qui – non è tanto la normalizzazione del prima, il ritorno al com’era, che non potrà mai più avvenire, quanto la possibilità (che poi, con gli strumenti che abbiamo oggi, è una scelta consapevole) per questi paesi di trovare la giusta identità per vedere il migliore dei futuri possibili.
Dalla guida Nonturismo “Ussita, Monti Sibillini. Deviazioni inedite raccontate dagli abitanti”, La supposta, di Wu Ming2:
“…trova una pagina bianca dentro i tuoi taccuini. Fatto? Ora scrivi una linea, da un margine all’altro del foglio”. Cosa vedi? Se vedi una via, ne puoi distinguere altre mille che si incrociano, ma se vedi un confine, allora molte vie sono proibite. In una terra, sono le storie che distinguono quali linee sono vie e quali confini”
Grazie Roberto per averci fatto assaporare l’anima di Ussita (MC). Sono queste le immagini che scaldano il cuore. È proprio la diversità e l’autenticità degli stessi abitanti a dare colore e carattere al luogo in cui risiedono.
Cari travelers, cercate di godervi a pieno i territori che esplorate, fatti di paesaggi ma soprattutto di persone.
Tante buone e lente avventure!
Blog IT.A.CÀ
Aurora E. Ferrari
Collaboratrice comunicazione nazionale IT.A.CÀ
Responsabile comunicazione Tappa Spilamberto –Valle Panaro
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