Quando mi è stato proposto di leggere “Il Piano B. Ripartire con un viaggio in bici” ho accettato entusiasta, reduce dalla lettura di “Anatomia dell’irrequietezza” di Chatwin. L’eloquente titolo campeggia in copertina sotto una fotografia, che ritrae due biciclette, appoggiate su un muro della città bianca (Ostuni), la cui parete è in perfetto contrasto cromatico con l’azzurro intenso del cielo; in trasparenza vi è una cartina geografica.
Visivamente colpita, inizio la lettura, apprendendo che lvan Saracca, ingegnere di professione e cicloviaggiatore per scelta, aveva deciso di abbandonare il suo stile di vita ormai opprimente, e nei primi mesi del 2020 progettava di inaugurare un nuovo corso con un viaggio all’estero, nel Sud-est asiatico. Ma poi, con un tempismo perfetto (destino cinico e baro) irrompe la pandemia, che scompiglia i suoi piani. Proprio questo sconvolgimento fa sorgere il piano B, proprio nel Sud-est ma in Italia, in una parte del paese fino ad allora non contemplata. Così in sella alla fidata Scapin, pedala da Pescara a Santa Maria di Leuca, non in maniera lineare stile A14, bensì solcando antiche Vie e percorsi sterrati di Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia.
Il racconto scorre facilmente, intervallato da flashback o riflessioni di carattere generale; si caratterizza come un diario di viaggio, o, se visto da una lente sociologica, come un’osservazione partecipante della vita in provincia, delle interazioni e rituali sociali degli abitanti.
Sepulveda nel suo “Ultime notizie dal Sud” parlava del “sapore dell’inesorabilmente perduto”: è un po’ quello che rinviene Ivan, commosso dalla gentilezza e calore umano di alcuni sconosciuti, così come dalla bellezza antica di altopiani e paesi scavati nella pietra. La modernità ha minato la connessione uomo-natura e uomo-uomo, che al contrario ritrova nelle sue tappe. Tuttavia, l’autore constata amaramente che lo sviluppo urbano delle città non ha risparmiato quei luoghi remoti, deturpandoli con un modello insediativo “autocentrico”.
Se da un lato rileva come il modello insediativo e turistico che abbiamo conosciuto non sono più perseguibili né sostenibili, dall’altro scorge, con occhio attento, i vizi connessi ad una società sempre più individualista, assuefatta al brutto e all’immutabilità di norme e comportamenti che, per quanto deleteri, sono ormai socialmente accettati.
Ciononostante, l’autore non si abbandona allo sconforto e in diversi passaggi si auspica che le cose possano cambiare in maniera virtuosa, perché non è mai tardi per ripensare ai propri stili di vita e al proprio impatto su questa Terra. Intesse un’ode alla lentezza, alla sostenibilità, alla felicità ravvisabile nelle piccole cose, al sacrosanto diritto alla salute, abbandonando i valori contemporanei di frenesia e produttività.
Il tema del viaggio lento pervade la narrazione. Viene riconosciuta l’importanza dei cammini, delle antiche Vie che adesso stanno riconnettendo e ricucendo lembi d’Italia. Ivan rileva di incontrare pochi camminatori sulla sua strada: se taluni passi rimangono inesplorati per le asperità naturali, la ragione principale della scarsa fruizione risiede certamente nella mancanza di investimenti e infrastrutture, nella carente promozione territoriale volta a implementare il turismo sostenibile e responsabile nelle aree interne e ad instillare un cambiamento nella concezione stessa del viaggio. Il Sud ben si presta a questa operazione: è ancora una terra inesplorata, sconfinata e dalle infinite potenzialità.
E ancora, racconta di essere stato guardato con un misto di curiosità e sospetto, in quanto cicloturista: imbottigliato nel traffico in diverse città e testimone di un comizio elettorale, rinviene che non è minimamente colta l’urgenza e l’importanza di cambiare la mobilità, né del bisogno di riappropriarsi delle città. L’urgenza del cambiamento, che emerge costantemente nel libro, sottende la necessità di discontinuità e di un nuovo inizio: tale è il senso del sottotitolo “Ripartire con un viaggio in bici”. La ripartenza è stato il leitmotiv degli ultimi anni dopo ogni crisi, prima economica e in seguito pandemica. Inflazionata nel lessico politico e giornalistico, rimanda ad un ritrovato benessere, ad una prospettiva di un florido futuro dopo un’interruzione, riprendendo esattamente il testimone laddove si è lasciata l’opera incompiuta.
Ma che senso avrebbe ripartire con le stesse modalità del passato, nelle stesse incontestate forme, non comprendendo che, se forse c’è stato un momento di rottura, bisognerebbe rivedere le proprie priorità, il proprio modello di sviluppo, che la realtà esistente non è perfetta così, non è l’unica possibile e forse è il caso di invertirne la rotta, immaginandone un’altra?
Mi sovviene l’invito di Mark Twain a mollare gli ormeggi ed uscire dal porto sicuro per amor di scoperta, che è un po’ quello che intende l’autore.
Per le suggestioni e gli spunti di riflessione, consiglio vivamente di leggere questo libro. Certo, una dose di immedesimazione e predisposizione al viaggio esperienziale è doverosa. Accanto al fil rouge del libro, lo sprone alla riscoperta del proprio habitat e alla riscoperta di sé stessi attraverso i piani B, vi è un’ultima importante lezione da trarre.
“Rispondere alla chiamata per rimettere in sella il nostro paese”, romantico auspicio conclusivo, che semplifica l’approccio place-based allo sviluppo, la rinomata coesione territoriale, mettendo questa volta al centro persone, con le loro storie, sogni, aspirazioni, che da Nord a Sud siano in grado di cooperare e ricucire il paese.
Alpine Studio Editore | Link libro
Continuate a seguirci come sempre, intanto buon viaggio e buone pedalate 🙂
Blog IT.A.CÀ
Elena Squicciarini
Tirocinio comunicazione IT.A.CÀ
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