Dall’ 11 al 13 settembre 2020
L’Anfiteatro Morenico di Ivrea è una culla, prima geologica e poi culturale, che rappresenta il cuore pulsante fin dall’antichità del più vasto territorio canavesano. La bio-diversità del suo territorio, che spazia dalla pianura alle montagne prealpine e che in epoca neolitica era occupato dalla lingua glaciale, è caratterizzata oggi da una grande varietà di ambienti naturalistici diversi che si susseguono in uno spazio geograficamente raccolto: pianure coltivate estensivamente a mais, canapa, ortaggi, colline moreniche, intervallate da laghi glaciali, in cui si coltivano vitigni antichi ed autoctoni come l’erbaluce, il nebbiolo, il carema; e ancora versanti boschivi in cui la natura più selvatica prende man mano il sopravvento, popolata da una varietà di fauna tipicamente prealpina, daini, camosci, fagiani, cinghiali, lupi.
Un luogo così ospitale è stato pertanto fin dall’antichità un crocevia di passaggi, di incroci, di culture erranti e stanziali, per cui si troveranno tracce di Salassi, di insediamenti romani, di popoli in cammino lungo la via francigena che attraversa questi luoghi e fondano Ivrea (Ypo-regia, poi Eporedia), la città dei cavalli; così la stratificazione delle storie umane, che vanno dall’antichità all’epoca romana, dal medioevo col suo primo barlume di stato unitario italiano, fino al ‘900 in cui si intrecciano storie resistenziali della seconda guerra mondiale.
Per dirlo con le parole di Franco Arminio,“una terra in cui convivono, talora aspramente, talora poeticamente, il computer e il pero selvatico”.
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