Cari viaggiatori e care viaggiatrici oggi abbiamo il piacere di parlare con Marco Saverio Loperfido, una figura poliedrica che ha saputo trasformare la precarietà lavorativa in uno stile di vita unico e significativo. Con una laurea in filosofia e un dottorato in Sociologia e Servizio Sociale, Marco ha intrapreso un percorso esistenziale per esplorare il mondo attraverso lunghi viaggi a piedi.
La sua esperienza va oltre il semplice camminare; è uno scrittore di narrativa di viaggio e di romanzi, e le sue attività di guida escursionistica e di scrittura si alimentano reciprocamente, creando un cammino di vita dinamico e arricchente. Quando non è in viaggio, Marco mette a frutto le competenze acquisite conducendo laboratori di scrittura e di mappatura, collaborando con la Asl RM2 da circa venti anni.
In questa intervista, racconteremo la sua esperienza con il “cammino di gruppo”, e il progetto innovativo “STRADE MAESTRE”, che unisce educazione e viaggio in modo unico e ineguale in Italia.
Ciao Marco, raccontaci di te e del tuo percorso lavorativo.
Dopo la laurea in filosofia e un dottorato in Sociologia e Servizio Sociale ho trasformato la precarietà lavorativa in uno stile di vita, includendo l’incertezza e l’instabilità nel mio percorso esistenziale. Puntualmente, dopo un periodo di stanzialità e quotidianità routinaria, sento la necessità di organizzare un lungo viaggio a piedi, preferibilmente di gruppo, in cui riscoprire la bellezza dello stare in natura in maniera continuativa, di assaporare il passaggio da una stagione all’altra, di condividere gioie e dolori dello stare assieme, di attraversare scenari umani e paesaggistici, riflettendo poi su quanto vissuto in forma letteraria. Sono così anche uno scrittore, sia di narrativa di viaggio che di romanzi.
Le due attività, quella della guida escursionistica e dello scrittore si alimentano a vicenda, passi alternati di uno stesso percorso di vita che nemmeno io so dove mi condurrà. Nei momenti di stanzialità cerco di far fruttare al meglio le competenze acquisite dagli anni di studio e di viaggio, conducendo laboratori di scrittura e di mappatura, sia per privati che per la Asl RM2, con cui lavoro ormai da circa venti anni.
Puoi raccontarci della tua esperienza con il “cammino di gruppo” e spiegare perché hai scelto di seguire questo tipo di percorso educativo?
Io credo, dopo averlo sperimentato sulla mia pelle, che nel cammino si possa vivere una situazione sociale privilegiata rispetto a quella che sperimentiamo tutti i giorni. La socialità in cammino è la più antica che conosciamo, la più immediata e concreta da gestire. Il fatto di passare molto tempo assieme lungo lo stesso sentiero, di condividere ogni momento, sia bello che brutto, di mangiare lo stesso cibo e di spartire lo stesso giaciglio, è un collante incredibile della piccola comunità itinerante che si viene a creare per i giorni di cammino.
Non a caso uno dei miei saggi sul cammino di gruppo si intitola “Tre lune nelle scarpe”, titolo che rimanda al proverbio Sioux che dice: “Prima di giudicare una persona cammina tre lune nelle sue scarpe”. Camminando insieme le anime si allineano. Ciononostante non bisogna considerare il cammino come la panacea di tutti i mali, né innalzarlo a risposta assoluta che vada bene per tutti. Di sicuro però è un potente strumento a disposizione, non solo del corpo e dell’anima individuale, ma anche della socialità.
Tra i vari progetti che segui, potresti raccontare al nostro pubblico la nascita e lo sviluppo di “STRADE MAESTRE”? Qual è il suo significato per te e perché hai deciso di avviare un progetto di questo tipo?”
Mi sono avvicinato a questa idea nel tempo, pensando prima a una lettera indirizzata a un giovane italiano e poi a un progetto per le università che avesse il cammino, i territori e lo studio al centro. Si chiamava “Ricercatori in cammino” e ho portato l’idea, rigorosamente a piedi per 2400 km, al Parlamento Europeo di Bruxelles, consegnandola a David Sassoli nel 2017.
Successivamente, durante un’intervista al mio amico e collega Marcello Paolocci in cui sottolineava la necessità di far camminare anche gli adolescenti durante il periodo scolastico, è subentrata l’idea folle, visionaria, ambiziosa ma entusiasmante, di far realizzare un intero anno scolastico itinerante a una classe di studenti, unendo cammino e insegnamento.
In breve potrei dire che gli elementi di originalità di questo progetto che mi stanno più a cuore sono: le lunghe distanze spazio-temporali, la classe/gruppo, la didattica basata sui luoghi e la figura della guida/insegnante, che è sia guida, sia professore che mentore del percorso formativo dei ragazzi. Partiremo a settembre 2024 ma questo primo anno è solo la prima tappa di un percorso che vuole essere lungo decenni.
Il tema nazionale di IT.A.CÀ Festival 2024 è “Radici in Movimento: dove mai andiamo? sempre a casa – Novalis”: che cosa ti ispira questo tema?
Questa frase, bellissima, mi sta molto a cuore, tant’è che è inserita anche nel mio prossimo saggio sul camminare in gruppo, che si intitolerà “La compagnia viandante. Una frontiera del Noi” edito da Il Lupo Edizioni.
Mi piace riportare quanto scrivo a tal riguardo, estrapolando alcuni concetti dalle riflessioni avute nel mio viaggio verso Bruxelles: dopo mesi di cammino “casa” non era più un luogo tra le mura, ma lì dove abitavamo per più tempo e ci sentivamo protetti rispetto a un esterno. L’esperienza della casa, per un abitante della società occidentale, che per stile di vita è abituato a passare da una scatola all’altra, dalla scatola dell’abitazione alla scatola dell’automobile, da quella dell’ufficio fino a quella della palestra, cambia drasticamente dopo mesi e mesi di cammino e in costante rapporto con gli elementi naturali.
Tornano in mente le parole di Hermann Hesse, che dopo un lungo peregrinare è colto da un pensiero illuminante: “Questa intuizione mi attraversò come un baleno e nello stesso tempo sentii destarsi nel mio cuore una frase che avevo imparata durante l’anno di noviziato e mi era sempre piaciuta immensamente, pur senza comprenderla nell’intimo, la frase di Novalis: «Dove mai andiamo? Sempre a casa»”. Perché la casa è il mondo…
All’interno del festival IT.A.CÀ esploriamo nuove esperienze: qual è stato il viaggio che ti ha cambiato di più e in che modo ha influenzato la tua visione del mondo?
Il viaggio che di sicuro mi ha cambiato di più è stato Boez, un cammino di circa due mesi con 6 ex-detenuti, per un programma di reinserimento sociale. Sono stato la loro guida da Roma a Santa Maria di Leuca, luogo simbolico del “finis terrae”, dove il mare infinito lascia lo spazio alla terra, attraversata e sudata in ogni centimetro.
È stato un viaggio che mi ha messo alla prova, che mi ha fatto crescere personalmente, che mi ha visto commettere degli errori. Siamo tutti uguali su questa terra, ma nel camminare insieme diventiamo ancora più simili, compagni di viaggio e di vita. I nostri compagni diventano tutta l’umanità. Per arrivare fino in fondo bisogna amarsi molto per quello che si è, mantenere la capacità di ascolto e di apertura, bisogna fare i conti con i propri fantasmi e condividerli. Non c’è altra via per non perdersi.
Ringraziamo di cuore Marco per questa intervista e vi invitiamo a fare una donazione al progetto STRADE MAESTRE: intanto buon viaggio e seguiteci come sempre 🙂
Blog IT.A.CÀ
Sonia Bregoli
Responsabile Comunicazione Nazionale
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