Oggi vi portiamo a scoprire un progetto con cui abbiamo il piacere di collaborare WANE – We Are Nature Expedition. Lo facciamo con Valeria Barbi, esperta e divulgatrice di biodiversità che ha studiato a lungo il rapporto tra uomo e natura ed è co-fondatrice di questo ambizioso progetto, che possiamo definire il sogno di una vita (personale e professionale). Si tratta di un reportage sul campo con l’obiettivo di documentare la crisi ecologica e la perdita di biodiversità in quattordici paesi, dall’Alaska, negli Stati Uniti d’America, all’Argentina, lungo la Panamericana.
Sarà un viaggio non individuale, ma condiviso e per raccontare i cambiamenti che la terra sta vivendo. Con lei partirà Davide Agati, fotografo ed esperto di gestione dati, nonché suo compagno di vita e avventure.
Da scienziata, dicci in percentuale, quanta dose di coraggio, incoscienza e passione ci vogliono per fare una scelta così radicale?
Direi 100% di tutto ma, da scienziata, non si può! Quindi direi:
- Passione 60%
- Coraggio 30%
- Incoscienza 10%
Per lanciarti in un progetto del genere e su questi temi devi avere dentro la passione. Non è solo lavoro, è una scelta voluta e desiderata. Poi sì, un pizzico di incoscienza c’è, considerando l’enorme complessità dietro un progetto del genere per dare voce alla terra, totalmente indipendente e da cui prendi oneri e onori.
Ci ha colpito molto la vostra scelta di lasciare la vita passata per intraprendere questo viaggio. Cosa vuol dire prendere una decisione del genere e pensare di vivere in movimento, da nomadi per la terra, per più di un anno?
In realtà per me non è un vero e proprio taglio con il passato. La definirei più la ciliegina sulla torta di 13 anni di lavoro e la risposta alla mia necessità di tornare sul campo, raccogliere esperienze e raccontarle. La mia esperienza professionale mi ha fatto capire che nella crisi ecologica e climatica c’è bisogno di storie. Va bene raccontare i dati e la scienza, ma siamo di fronte anche ad un’enorme crisi di comunicazione.
Per Davide che lavora per una multinazionale di informatica ed è un esperto di tecnologie cloud, è un po’ diverso e si tratta di una pausa rispetto al suo schema professionale quotidiano. È un po’ ricominciare da qualcosa che aveva interrotto nella passione per la fotografia e investire il suo tempo per dare un contributo concreto alla causa ambientale.
“Per dare voce alla terra” è un messaggio forte e attuale. Perché avete deciso di intraprendere questo viaggio proprio attraverso la Panamericana?
Le ragioni sono in realtà due, una legata alla passione e l’altra alla scienza. Innanzitutto, è stato il richiamo alle radici culturali e le cose che leggevo da piccola. Sono cresciuta con il “Richiamo della Foresta” di Jack London e il nonno che raccontava le storie degli indiani d’America. Una passione che lui condivideva con mia madre e poi con me.
Dal punto di vista scientifico è stata una scelta molto oculata. La Panamericana è un tracciato, un crocevia di culture e tradizioni, ma è anche l’unica strada al mondo che ti consente di attraversare tutti gli ecosistemi esistenti, dalla tundra, ai deserti, alle foreste pluviali ed è in continuo collegamento con l’Oceano Pacifico. Così via terra e via mare si può vivere della più grande diversità naturalistica e culturale del mondo. Attraverso la biodiversità esploreremo anche le tradizioni indigene a rischio di estinzione. Vogliamo riscoprire le interconnessioni tra uomo e natura.
Oltre all’importanza di raccontare la biodiversità e la crisi climatica ed ecologica toccandola con mano, WANE è anche e soprattutto un viaggio. Ci racconti come vi state preparando per avere un passo lieve ma profondo sui territori in cui vi fermerete?
Dal punto di vista ambientale, può sembrare poco sostenibile la scelta del van. Ma abbiamo lavorato sul compromesso perché essendo un progetto di ricerca oltre che un viaggio, in bicicletta sarebbe stato impossibile e dovremo raggiungere zone di variabilità climatiche complesse con varie strumentazioni molto delicate. Sapendo che l’impatto zero è impossibile, abbiamo lavorato sul limitare il nostro impatto. Per questo abbiamo come partner ZeroCo2 che calcola le emissioni e reinveste nella piantumazione di alberi in Guatemala, Nuevo Horizonte, dando la gestione della foresta alla comunità locale. È una riforestazione ad alto impatto sociale. Qui abitano ex-guerriglieri che hanno deposto le armi e messo le mani sulla terra.
Poi per l’attrezzatura stiamo usando molto il mercato dell’usato, tra i partner c’è RCE Foto, che punta all’economia circolare e sposa i nostri valori. Poi abbiamo lavorato sulla scelta dei prodotti nella vita quotidiana (come, ad esempio, la scelta di saponi solidi), impegnandoci in tutte le scelte individuali e nella gestione dell’acqua, dal punto di vista tecnico.
Dal punto di vista sociale, c’è stata una lunga e complessa fase di studio per mappare il territorio con le sue criticità e cercando associazioni che avessero un reale impatto e lavorassero con le comunità locali. L’ultimo anno lo ho passato ad organizzare riunioni con associazioni, capi comunità e organizzazioni locali per spiegare in cosa consiste il progetto, chiedendo di fidarsi perché andremo comunque a toccare anche temi sensibili come quelli sull’aspetto della delinquenza locale, per esempio bracconaggio o traffico di animali. Non è stato semplice, ma quando hanno capito che il progetto è indipendente, senza grossi enti finanziatori dietro, ho avuto un ottimo riscontro. Ho spiegato che non andremo solo a fare foto, ma che vogliamo stare in campo con loro, vivere con la comunità e da naturalista lavorare insieme e imparare reciprocamente.
Un esempio che mi piace raccontare è quello della Pelagios Kakunja in Baja California: un progetto di turismo sostenibile con i pescatori, i quali non erano abituati a rispettare i limiti della pesca. Poi includendoli in progetto di conservazione hanno iniziato a rispettare la stagionalità e nei periodi di chiusura lavorano come operatori turistici e portano le persone in barca, arrivando a guadagnare anche di più e avendo un impatto positivo sul territorio.
Il nostro tema quest’anno è “Habitat – Abitare il futuro”. Sembra molto legato a questo viaggio e racconto. Cosa è per te l’Habitat e cosa vuol dire abitarne il futuro?
Per me partendo dalla definizione habitat è la casa. È il luogo che per le sue caratteristiche ci consente la vita. Non solo per sé stessi, ma contribuendo alla qualità della vita degli altri. È quello a cui dovremmo aspirare, trasformare la casa comune in quello spazio in cui tutte le specie beneficino della qualità della vita in modo inclusivo e valorizzando le interconnessioni.
Noi diciamo che questo è un viaggio di valenza antropica nell’esplorazione del rapporto tra uomo e natura per parlare di come questo è cambiato e come possiamo invece re-imparare dalla natura un nuovo modo di essere umani, in simbiosi. Questo deve essere l’habitat del futuro. E dobbiamo lavorarci per renderlo tale. In questo senso viaggiare è fondamentale. Se non vedi non capisci cosa proteggere, sia dietro casa che dall’altra parte del mondo. Puoi scegliere il come viaggiare ed essere sostenibile, ma innanzitutto bisogna vedere.
A chi volesse intraprendere un viaggio come il vostro, impegnato e impegnativo, ma di arricchimento personale e comunitario, quali consigli dareste?
Dal punto di vista tecnico -organizzativo, assolutamente di studiare bene l’itinerario e capire come e perché si vuole andare in quel luogo. Non definire tutto giorno per giorno, ma darsi un’idea di massima per capire cosa c’è in quei territori e cosa vogliamo carpirne per lasciarsi poi trasportare dal viaggio. Scegliere poi bene il mezzo con cui muoversi e valutare come si è in grado di affrontare il viaggio e organizzarsi di conseguenza.
Come terza cosa, suggerirei di valutare la complessità di eventuali documentazioni attraversando più paesi e prendersi il tempo per studiare bene questi aspetti normativi e burocratici. Spesso non si viene raccontato a cosa si va incontro, ma è fondamentale essere preparato prima di partire.
Per il resto, prepararsi bene ma anche lasciare molto spazio all’inaspettato. Il nostro obiettivo è di non partire con un’idea pre-costruita di ciò che vedremo, ma partire come spugne, assorbire quel che viene e poi raccontarlo.
Ringraziamo Valeria e Davide per questo viaggio che intraprenderanno e per aver deciso di collaborare con il nostro progetto nazionale IT.A.CÀ e dare un forte contributo al tema di quest’anno mentre saranno in viaggio. Infatti, ci troverete insieme in diretta sul nostro profilo IG nei prossimi mesi per raccontare gli habitat ed alcuni dei luoghi che incontreranno.
Per saperne di più sul progetto > WANE – We Are Nature Expedition
Potete seguire qui lo sviluppo del progetto e anche con noi per essere parte del viaggio! Buona partenza ai nostri amici e grazie per questa condivisone tra scienza, passione e amore.
Blog IT.A.CÀ
Annalisa Spalazzi
Tappa Sasso Simone e Simoncello
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