Viaggio, fuga, erranza, pellegrinaggio, vagabondaggio, migrazione, turismo, sono solo alcune delle parole che esprimono uno spostamento di persone. Parole diverse che pongono l’accento su aspetti diversi (motivazioni, cause, mete, obiettivi del movimento) e dietro cui si nasconde spesso uno sguardo gerarchizzante, che discrimina perché non rende conto delle disparità e disuguaglianze insite nelle diverse categorie. A queste parole si associano immagini, stereotipi ed emozioni contrastanti, spesso opposte.
La pratica del viaggio e la relativa esperienza della diversità è preceduta da un immaginario sociale che non solo non riconosce i nessi tra turismo e migrazione – prova ne sia la quasi mancanza di letteratura che indaghi insieme i due fenomeni -, ma spesso li focalizza come diametralmente opposti. Eppure, per quanto oggi risulti essere prevalentemente sedentaria, l’umanità nasce nomade, in constante ricerca di ciò che risultasse essenziale per la sopravvivenza e il miglioramento delle condizioni di vita.
Il termine mobilità rimanda a un fenomeno da sempre esistente nella storia umana ma che nell’ultimo mezzo secolo ha assunto un ruolo particolarmente significativo, in concomitanza con il radicalizzarsi della globalizzazione e con l’affermarsi di tecnologie che hanno espanso la mobilità sia in termini spaziali che sociali.
Sebbene la distinzione tra migrante e turista sia artificiale – frutto di definizioni statistiche, normative e fiscali utilizzate per delimitare il settore del viaggio e dell’ospitalità – a queste parole si associano immagini, stereotipi ed emozioni contrastanti, spesso opposte. Da un lato, i migranti o rifugiati percepiti come pesi morti, portatori di angoscia e pericolosità, da respingere in quanto problema sociale. Dall’altro, i turisti o viaggiatori descritti come ospiti da accogliere in luoghi confortevoli, quali portatori di un plusvalore immediato, in primis economico.
Come nascono queste diverse categorie? Quali significati simbolici e implicazioni politiche si portano dietro? Che relazione esiste tra il diritto di migrare e il diritto al turismo? E come questi si intrecciano con questioni che rimandano a una più ampia giustizia della mobilità, e a un più ampio diritto alla città?
Con l’intento di andare oltre una mera critica della cinetofobia (paura del movimento) e delle diverse forme che questa assume, questo numero di Scritture Migranti curato da Pierluigi Musarò e Emanuela Piga Bruni invita a rimettere in discussione le fondamenta “residenzialiste” dello Stato-nazione e a sviluppare una nuova comprensione dell’interazione tra mobilità e appartenenza.
Esplorando i significati simbolici e le implicazioni politiche che le categorie migranti/turisti si portano dietro, il numero della rivista contribuisce a mappare l’emergere di un mondo dove la libertà di movimento è il principale fattore di stratificazione sociale.
Inoltre, l’insieme dei diversi articoli raccolti, attraverso prospettive disciplinari diverse e complementari, non solo rimettono in discussione le categorie di pensiero con le quali si definisce la pratica del viaggio e l’esperienza della diversità, ma contribuiscono a sviluppare nuove prospettive sulla mobilità intesa come un fenomeno sociale totale.
Un fenomeno su cui il nostro Festival rivolge l’attenzione da molti anni.
Link per scaricare e consultare la lettura.
Buona lettura!
Blog IT.A.CÀ
Pierluigi Musarò
Direttore festival IT.A.CÀ
Professore UNIBO
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