Oggi per la nostra rubrica “In Viaggio verso IT.A.CÀ” siamo in compagnia di Elena Giuntoli – SocialLAB a cui abbiamo fatto alcune domande per raccontarci il loro progetto di turismo responsabile che stanno sviluppando in Tunisia.
1) Ci spieghi chi è sociaLAB e di cosa si occupa?
SocialLAB è una social media agency di Bologna. Aiutiamo le imprese (private e pubbliche) e i privati a migliorare la propria presenza online, curandone l’aspetto (il website) e il contenuto (lo storytelling sui social media). Nello specifico ci occupiamo di: consulenza formazione aziendale per un uso strategico e consapevole dei media sociali; progetti di alfabetizzazione digitale, rivolti a fasce di popolazione deboli – come gli anziani – per ridurre il digital (and grey) divide; progetti cioè che necessitano del coinvolgimento delle persone (online e offline) per funzionare al meglio; e organizzazione di eventi e incontri.
SocialLAB nasce dalla voglia di mettersi in gioco di Elena Giuntoli, Letizia Melchiorre ed Elena Muscas che nel 2012 decidono di proseguire le attività dell’omonima associazione fondata nel 2011 con Valeria Bigongiali, Elisa Mazzini e Giulia Madau a seguito dell’esperienza di TagBoLab, Laboratorio di Marketing Territoriale dell’Università di Bologna.
SocialLAB, inoltre, fa parte del coworking bolognese Kilowatt dall’ottobre del 2012. Il network di professionisti con cui collabora quotidianamente permette di sviluppare progetti sempre diversi e innovativi, grazie all’integrazione di competenze trasversali, dal project management al design strategico, dalla progettazione urbana all’organizzazione di eventi.
2) Come nasce il progetto SocialLAB in Tunisia: MaTerre, marketing territoriale per l’impiego, in breve che cosa avete fatto?
MATerre è un progetto promoss dalla ong bolognese di cooperazione internazionale CEFA Oblus, co-finanziato dall’Unione Europea e della Regione Emilia Romagna.
Il progetto nasce con l’obiettivo di creare impiego in una specifica regione della Tunisia, la Kroumirie et Mogods (nella parte nord- occidentale del paese, al confine con l’Algeria) caratterizzata da un alto tasso di disoccupazione. Il progetto mira a creare posti di lavoro sviluppando attività di ecoturismo, attraverso l’interazione del settore turistico con il patrimonio culturale, naturale ed economico della regione. Lo scopo è creare un network che coinvolga chi, localmente, svolge attività di promozione del territorio Per esempio, cooperative di donne che producono tappeti, ceramiche o oli essenziali; hotel che organizzano escursioni nel territorio (a piedi, a cavallo, in bicicletta).
Lo staff in loco – composto da Giuseppe, cooperante italiano, responsabile progetto per CEFA, Kais e Imen, un ragazzo e una ragazza della zona – ha iniziato a stabilire collaborazioni e partnership con associazioni, istituzioni e esperienza locali e sta creando un network di realtà da coordinare, con l’obiettivo di rafforzare e orientare l’offerta turistica.
Sono stati inoltre attivati percorsi di formazione con gli operatori privati per migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi turistici e è stato promosso un festival per rilanciare l’offerta culturale e musicale della regione. SocialLAB è stata coinvolta come partner di progetto per svolgere attività di consulenza sulla comunicazione, narrazione e promozione online del territorio.
Per chi fosse interessato, segnaliamo il corso previsto dal 1-16 agosto 2016, che coinvolgerà 12 studenti dell’Università di Bologna e 12 studenti dell’Università di Jendouba e dell’Istituto Silvo- Pastorale in una serie di attività di scoperta della regione e delle sue specificità. Contatti: Andrea Tolomelli o Irene Torre del CEFA (info@cefaonlus.it).
3) Quali sono state le vostre impressioni e che impatto potrebbe avere a livello economico e culturale un progetto di questo tipo in questi paesi del Mediterraneo?
Il progetto è pensato per potenziare l’economia della regione e creare occupazione, partendo dallo sviluppo, riorganizzazione e promozione del settore artigianale, agricolo e, più in generale di tutti quegli ambiti collegati al settore turistico: trasporti, accoglienza ecc.
La regione è semisconosciuta, ma bellissima, e ha un altissimo potenziale in termini turistici: il nord è caratterizzato da spiagge bellissime e macchia mediterranea, perfetto un turismo balneare; il centro sud è ricco di montagne e foreste: su tutte il Parc El Feija (parco nazionale patrimonio dell’UNESCO, caratterizzato dalla grandissima quantità di querce da sughero e dalla presenza di cervi berberi, specie ormai presente soltanto in questa zona). Inoltre, è ricca di storia e cultura: strettamente legata alla Sardegna e a Genova, con le quali condivide storia e tradizioni, era una meta piuttosto famosa fino a poche decine di anni fa, nota a livello internazionale per il festival Jazz che si teneva ogni anno e richiamava artisti da tutto il mondo.
Bulla Regia prima berbera, poi fenicia e infine romana. Di quest’ultima civiltà, conserva ville patrizie, strade, teatro e terme in perfetto stato; è scavata però solo per il 20% e semi – sconosciuta. Le cave di Chemtou, famose per il marmo rosso che veniva trasportato ai tempi dell’impero fino alla capitale Roma.
Dal punto di vista economico, MaTerre si propone di riorganizzare e rilanciare attività (agricole, artigianali e turistiche) della zona, creando un tessuto sociale forte e coeso, che promuova le sue specificità culturali, artigianali e gastronomiche, che possano attirare non solo flussi turistici ma anche potenziali investitori. Dal punto di vista culturale, si propone di sviluppare tra i locali una maggiore conoscenza di cosa è il turismo responsabile e diffondere una consapevolezza di cosa significhi investire nel prodotto territorio e come questo vada salvaguardato. Se un progetto come questo funziona in una regione come la Kroumirie, potrebbe essere un modello per altri paesi e zone limitrofe che hanno intenzione di sviluppare progetti analoghi.
4) Visto la situazione attuale, tra conflitti e minacce da parte di movimenti estremi è possibile portare avanti progetti di questo tipo?
La situazione internazionale attuale non facilita assolutamente progetti di questo tipo. Da un lato, scoraggia e spaventa eventuali flussi turistici, dall’altro frustra la stessa popolazione locale che vede vanificati i propri sforzi. La Tunisia poi è uno dei paesi che più ha risentito del clima di terrore: dopo gli attentati dello scorso anno – al Bardo (marzo 2015), a Sousse (giugno 2015) e in centro a Tunisi (novembre 2015), realizzati con l’intento preciso di scoraggiare e eliminare il turismo straniero, non è semplice immaginare un turismo trainante a livello economico.
Il progetto, di conseguenza, sta procedendo lentamente e siamo stati costretti a ripensare la strategia di promozione territoriale: inizialmente pensato per attirare principalmente eco-turisti dall’Europa, adesso si rivolgerà prevalentemente al turismo tunisino, algerino e più in generale arabo, poichè i flussi turistici europei si sono drasticamente ridotti.
Abbiamo accolto comunque questa sfida sia perché la regione ha un altissimo potenziale, sia perché la popolazione locale è fortemente motivata e non si arrende e ci da forza per continuare, sia perché siamo certe che il terrorismo si combatta solo con la conoscenza e la comprensione, l’incontro e lo scambio e non con la chiusura. E un progetto come questo è un’ottima occasione per conoscere e capire una nuova cultura e realtà.
5) Sviluppare un progetto del genere di turismo responsabile: quali sono le difficoltà che avete trovato?
La Tunisia, oltre alle problematiche legate al terrorismo internazionale, sta attraversando anche un periodo di profondo cambiamento e transizione politica e sociale. La rivoluzione del 2011 (che ha dato il via alla cosiddetta Primavera Araba) ha rovesciato la dittatura di Ben Ali che durava da 23 anni. Il nuovo governo insediatosi a ottobre del 2014, si è trovato a affrontare un vuoto amministrativo e politico importante e deve, di fatto, ricostruire e riorganizzare l’intero paese. Le principali difficoltà riscontrate sono legate all’ambito legislativo, burocratico e amministrativo. Le procedure e le autorizzazioni sono molto lente e non sono garantite.
Non esiste una legislazione condivisa e ufficiale in materia di turismo, figuriamoci di turismo responsabile; non esistono delle linee guida che permettano di uniformare i servizi proposti. Di conseguenza, ci sono molte realtà che hanno sviluppato attività di turismo responsabile che, pur di lavorare, si organizzano in modo autonomo e operano nell’economia informale e senza autorizzazioni ufficiali, cosa che determina delle difficoltà nel momento in cui devono essere inserite in una offerta turistica ufficiale.
6) ultima cosa ci racconti un aneddoto simpatico che ti è rimasto impresso di questa esperienza?
Innanzitutto, vogliamo sottolineare come il progetto sia stata un’occasione per scoprire legami stretti tra la Kroumirie e la Sardegna: nella parte sud-occidentale della Sardegna, si parla il dialetto tabarchino, una variante del ligure, [per approfondire qui] condiviso con Tabarka (in Tunisia) e Nueva Tabarka (in Spagna) retaggio della colonizzazione genovese; alcune tradizioni sono identiche (ad esempio l’intreccio delle palme).
Essendo una delle tre socie sarda questo aspetto è stato particolarmente sentito.
Durante la nostra missione in Kroumirie (dall’11 al 20 maggio 2015) abbiamo avuto l’occasione di visitare luoghi bellissimi e realtà interessanti: al Parc El Feija (patrimonio dell’UNESCO) abbiamo incontrato un piccolo esemplare di cervo berbero (ne sono rimasti solo in quest’area), allevato dal guardiano perché rimasto orfano (si, sembra una favola della Disney :D), alla spiaggia di Melloula abbiamo fatto un giro in barca a remi con un pescatore del luogo, a Ain Draham abbiamo scoperto che nella zona ci sono moltissimi cinghiali, che vengono cucinati secondo la stessa ricetta che si usa in Toscana, con grande gioia della componente toscana di SocialLAB. Non abbiamo avuto modo di assaggiarlo, ma rimedieremo alla prossima missione.
Dopo esser state sballottate da una parte all’altra della regione per una settimana, è finalmente arrivata la domenica, giorno di riposo. Avevamo in programma di andare in spiaggia (visto che per tutta la settimana il tempo era stato bellissimo, con temperature anche oltre i 35 gradi). Ovviamente, nel nostro unico giorno libero, ci siamo svegliate con la pioggia e temperature in picchiata. Senza perderci d’animo, abbiamo deciso di sostituire la spiaggia con hammam, così da rilassarci e goderci una tipica esperienza tunisina e farci coccolare.
Sfortunatamente, per una serie di misunderstanding, abbiamo sbagliato orario e siamo arrivate nel momento esatto terminava l’accesso ai bagni per le donne e iniziava quello per gli uomini (gli hammam, hanno orari di accesso diversi per gli uomini e per le donne; per gli uomini generalmente al mattino presto o alla sera dopo il lavoro, il resto della giornata è invece dedicato alle donne). Abbiamo disperatamente cercato di trovarne un altro aperto per le donne, perché volevamo assolutamente provare questa esperienza; purtroppo non ci siamo riuscite e ci siamo dovute accontentare di una doccia calda a casa, mentre i nostri colleghi (maschi) si godevano l’hammam con tanto di massaggio.
Se volete approfondire, sul nostro Blog trovate alcuni post di racconto del viaggio; in particolare segnaliamo questo riassuntivo dell’esperienza. Inoltre questa è la pagina ufficiale del progetto (in francese) e qui trovate alcune foto della missione.
Ringraziamo Elena per il racconto della sua esperienza e quindi non resta che dirvi come sempre buon viaggio e seguiteci per la prossima avventura 😉
Rubrica “In viaggio verso IT.A.CÀ”
Sonia Bregoli
Responsabile comuncazione IT.A.CA
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