Cari amici, oggi per la nostra rubrica “In viaggio verso IT.A.CÀ” cammineremo lungo il sentiero della viandanza per quasi duemila chilometri, percorsi per la prima volta dall’arcivescovo di Canterbury circa mille anni fa, dalla Gran Bretagna a Roma.
“Perchè le persone si mettono in cammino?
La domanda è già la risposta, è in quell’interrogarsi continuo
che ci troviamo, volenti o nolenti, tutti”.
Luigi Nacci (Presidente Associazione Movimento Lento)
Con l’avvento del Giubileo si torna a parlare di pellegrinaggi e più in generale di proposte culturali ad alto valore spirituale. Un “triathlon” tra cultura, religione e turismo responsabile che ha spinto le principali città che si snodano lungo la Via Francigena a rilanciare l’idea del cammino e a promuovere iniziative strategiche legate all’evento.
L’Emilia-Romagna, con le sei tappe che collegano l’argine del Po di Soprarivo al Passo della Cisa, coglie l’opportunità per essere tra i protagonisti. Così Fidenza, già sede dell’Associazione Europea delle Vie Francigene, diventa il fulcro di relazioni con il mondo seguendo la sua vocazione europea di città crocevia di cammini (Via Francigena e via Emilia) e culture, facendosi promotrice della candidatura della Via Francigena e della Cattedrale di Fidenza a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Non immaginiamoci però una via percorsa prettamente da cristiani devoti al Santo Sepolcro. Le vie Francigene sono tante quante sono le anime dei viandanti che la percorrono. Il viandante è l’essere umano che va sulla via e che dalla via si fa attraversare. Il corpo diventa un filtro attraverso il quale passano tutti i sentieri. Una sorta di spugna che, calpestandone le orme, sente i passi dei transumanti, dei briganti, dei commercianti, dei nomadi e dei migranti, dei vagabondi e degli erranti senza meta. Di tutti coloro che hanno deciso di mettersi in cammino.
Si può essere credenti o no, non importa. La viandanza non discrimina, accoglie chiunque, viaggiando con lentezza, calpesta la terra colmo di domande. Giubileo o meno. E che da quell’interrogarsi possa far nascere una riflessione complessa a beneficio dell’itinerario, e del camminante.
Con queste righe ci rivolgiamo anche alle genti che vivono nei territori francigeni. C’è bisogno di loro, della partecipazione delle comunità locali: devono calarsi nei panni dell’essere umano che si sposta con la propria casa nello zaino, devono sentirsi pellegrini e ospitalieri.
E così ameremo quella via.
Blog IT.A.CÀ
Antonio Aversano
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