Per il nostro appuntamento con la Rubrica “In viaggio verso IT.A.CA”, la nostra Annalisa Spalazzi intervista il blogger e scrittore Luca Gianotti della Compagnia dei Cammini.
Come è nata l’iniziativa della Compagnia dei Cammini? Raccontami la tua storia…
La Compagnia dei Cammini nasce dall’evoluzione di un’altra associazione che si chiamava la “Boscaglia”, ne prende il testimone. Diciamo quindi che abbiamo una ventina di anni di esperienza nei viaggi a piedi. Abbiamo sempre creduto che il camminare sia, soprattutto se fatto per tanti giorni, uno strumento per entrare in profondità nei luoghi e in contatto diretto con le persone che li abitano, ma anche uno strumento per entrare in contatto con se stessi.
Quindi anche un percorso interiore. Siamo un’associazione e rivendichiamo il nostro essere associativi perché comunque ci piace diffondere la cultura del camminare attraverso le nostre proposte. Organizziamo ogni anno circa 120 viaggi, in cui partecipano persone di vario genere e soprattutto donne. Ci sono effettivamente più donne che uomini, in quanto sono più coraggiose e sanno spaesarsi, si adattano in situazioni non perfettamente controllate. Noi più che turismo ci sentiamo di fare qualcosa di diverso, ci va un po’ stretta come parola. Diciamo che proponiamo esperienze profonde, un viaggio esperienziale in cui l’imprevisto fa parte del viaggio stesso. Ci deve essere lo spaesamento per entrare in relazione coi luoghi.
Questo modo di vedere il viaggio rientra in modo stretto nel concetto di turismo responsabile. Come si lega la vostra esperienza a questa pratica?
Con il turismo responsabile noi abbiamo avuto un rapporto stretto all’inizio. Poi dopo siamo rimasti un po’ delusi dalla mancanza di effettiva riflessione su quello che è il nostro viaggiare. Abbiamo cercato di portare all’interno di questo mondo maggiore necessità di consapevolezza. Secondo me il turismo responsabile come movimento rischia di perdere opportunità sulle considerazione che si devono fare mentre si viaggia.
Noi camminatori siamo assolutamente attenti a tutto. Il nostro impatto è minimo, sia dal punto di vista economico-sociale che da quello ecologico. Tuttavia anche noi viaggiamo, prendiamo aerei e anche noi comunque creiamo squilibri economici nel momento in cui andiamo in certi luoghi e facciamo certe cose. Cerchiamo di rendere consapevoli coloro che partecipano ai nostri viaggi ponendoci delle domande su come possiamo noi, non in termini economici ma bensì culturali, come compensare il nostro privilegio nell’essere viaggiatori rispetto a chi viaggiatore non lo è. Perché comunque viaggiare arricchisce la mente ed è quindi uno strumento importantissimo per l’essere umano per evolvere. Però bisogna riflettere molto su cosa stiamo facendo.
Noi proviamo a insegnare ai nostri camminatori che si devono sentire in debito verso il viaggio stesso e devono in qualche modo contribuire con atti culturali. Per esempio fare controinformazione in maniera forte. Se vado in un paese islamico, tornare e dire che io non ho visto tutto questo fanatismo e voglia di sangue. Mi sento seguace delle opinioni di Aime nel suo libro “l’incontro mancato”, sulla difficoltà anche da parte del turismo responsabile di sfruttare la possibilità vera di entrare in contatto con le persone al di là degli stereotipi e slogan. Noi cerchiamo di fare questo attraverso viaggi pieni di imprevisti, che spesso sono positivi. Incontri veri e non organizzati, spontanei e non ricercati attraverso organizzazioni equo solidali o simili. Questo è quello che cerchiamo di fare per sentire in modo forte la responsabilità del viaggio.
Quindi il vostro blog è un po’ una risposta a questo vostro modo di comunicare la cultura che incontrate?
Si certo, ma il blog lo usiamo meno rispetto a Facebook, e li usiamo per tutta la comunicazione. Per raccontare questi cammini è nata ora l “edizione dei cammini” come quadratura del cerchio per parlarne come cultura e filosofia del camminare. In Italia dovremmo essere consapevoli che è nato un movimento di camminatori che in altre parti di Europa non c’è. Eravamo gli ultimi all’inizio, mentre adesso c’è un’attenzione e un bisogno di mettersi in cammino. Perché abbiamo seminato bene e bisogna esserne orgogliosi. Abbiamo sempre fatto discorsi sul camminare non semplicemente turistici o vacanza, ma anche con una forte connotazione di percorsi interiori, culturali. Per questo ora può nascere in Italia una casa editrice dedicata al cammino. Non sarà di nicchia, ma comunque ben diffusa e con autori di grande valore. È il grande risultato di tutta questa semina.
Nell’organizzazione dell’itinerario, comprendete anche alloggi e ristorazioni che siano tipici del luogo? Fate attenzione a questo aspetto?
Certo, è molto importante per noi. Privilegiamo b&b dove ci sono persone che hanno storie di raccontare e che hanno voglia di confrontarsi con noi piuttosto che l’albergo anonimo dove magari c’è più confort ma non ci interessa. Badiamo più alla qualità della relazione, della cucina…Siamo anche molto attenti al discorso del “vegetarianesimo”, che in certo senso promuoviamo. Allo stesso modo badiamo alla valorizzazione della biodinamica, del biologico…la cultura del cambiamento a 360 gradi. Sentiamo che dobbiamo far conoscere alle persone attraverso i cammini un ”Italia che cambia”, per citare Tarozzi.
Quindi, molti dei vostri cammini sono in Italia?
Si esatto, sono soprattutto cammini in Italia. Questa è una scelta importante perché vogliamo far conoscere alle persone un’Italia minore, diciamo quell’Italia degli Appennini e un po’ meno conosciuta. Io ho fatto la scelta di vivere in Abbruzzo, nella Marsica, luogo che nessuno conosce per esempio. Qui ho creato un cammino a disposizione di tutti, il “cammino dei briganti”. Noi stiamo cercando di avvicinare le persone a questa Italia.
Perché, si certo, il viaggio lontano apre la mente, ma va molto meritato. Il viaggio non deve essere una collezione di bandierine in giro per il mondo, ma deve essere l’entrare in relazione con i luoghi più vicini e ogni tanto meritarsi una riflessione con dei viaggi lontani. In Europa andiamo in Grecia, in Spagna, nelle zone del Cammino di Santiago. A volte anche in Inghilterra, ma tendenzialmente restiamo nell’Europa Mediterranea. Sconfiniamo dall’Europa solo per andare in Marocco perché lì c’è un progetto nostro con una guida che lavora solo per noi e si è creato un qualcosa di più di un rapporto di collaborazione professionale, ma un progetto legato ad azioni di solidarietà sul posto. È un luogo dove ci sentiamo a casa. Poi, andiamo in Palestina con una guida, una ragazza che lavora lì da dieci anni per portare pace e adesso ha capito che accompagnando le persone a piedi da villaggio a villaggio in Palestina si raggiunge comunque un risultato che va al di là degli stereotipi televisivi su quello che è la realtà del luogo. Sono situazioni di questo genere quelle dove organizziamo degli itinerari lontani. Dobbiamo sentirci un po’ dentro le cose e non solo turisti che arrivano solo per vedere e collezionare luoghi.
Credi che IT.A.CÀ e la sua filosofia rientrino in questo discorso di “profondità” che in un certo senso va anche la tradizionale concezione di “turismo responsabile”? Può aiutare la gente ad avvicinarsi a questo tipo di viaggio?
Si certo! Quello che state facendo voi con IT.A.CÀ è interessantissimo ed è bello che ci siano momenti di riflessione e di consapevolezza sul viaggiare e che ci siano spazi per conoscere. Vi abbiamo seguito anche indirettamente nel passato e ci sembra che come noi facciamo consapevolezza sul cammino, voi lo state facendo sul viaggiare in generale. Ci sentiamo molto affini. Non abbiamo ancora mai partecipato al festival, ma penso proprio lo faremo quest’anno.
Grazie per questo bellissimo racconto “lento”!
Annalia Spalazzi
Segreteria operativa Festival IT.A.CÀ
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