Oggi nella nostra rubrica “In viaggio verso IT.A.CA” siamo in compagnia di Coralie Maneri, fotografa freelance, che dal 2007 si dedica sopratutto a progetti sociali del terzo mondo come fotografa e video editor, in particolar modo per documentare la realizzazione di pozzi d’acqua e scuole nei villaggi rurali dell’Etiopia. A partire da, mercoledì 28 maggio 2014, la mostra fotografica ETHIOPIA sarà allestita presso Camera a Sud (Via Valdonica, 5 – nel Ghetto Ebraico a Bologna) all’interno della VI Edizione di IT.A.CA 2014, dove potrete ammirare suggestivi scatti su un paese così lontano e così sconosciuto dal nostro immaginario quotidiano.
Inaugurazione ore 18.30 con dj-set Pattipatti (Radiocittàfujiko)
ETHIOPIA
di Coralie Maneri
Che cosa significa il “viaggio” per te?
Nella mia vita ho avuto la fortuna di viaggiare sin da bambina, esplorando territori lontani dai soliti luoghi comuni. Viaggiare significa per me “capacità di meravigliarsi”; sosteneva Matisse: “Occorre guardare tutta la vita con gli occhi di un bambino”.
Credo che nel viaggio si celi un grande potenziale, che permette di superare molte barriere della comunicazione e al contempo consente di ampliare la propria percezione stimolando i nostri impulsi creativi. Il viaggio è sempre stato per me qualcosa di speciale per cui vale la pena fare dei sacrifici.
A 20 anni sono partita 6 mesi in Sud America da sola con uno zaino di 8 kg e la mia macchina fotografica. Ho attraversato otto paesi con i mezzi di trasporto locali, rinnegando ogni veicolo con più di tre turisti a bordo. A volte è stato molto faticoso, ma il fattore di sorpresa e di scambio con la gente locale, superava di gran lunga tutti confort di cui in realtà non sentivo più il bisogno. Credo che per compiere un qualsiasi viaggio, sia necessario entrare in una “condizione” di apertura, che viene senza dubbio amplificata se si viaggia soli, perché si impara a guardare ed ascoltare il mondo circostante in modo diverso, sicuramente più inteso, veritiero e presente.
La mia innata curiosità mia ha sempre concesso di lasciarmi sorprendere da tutto quello che non avrei mai pensato di vedere e di vivere. La fotografia mi ha sempre accompagnato nei miei viaggi in un modo molto spontaneo e mi ha sempre concesso di espormi e relazionarmi con perfetti sconosciuti. La ricerca dell’immagine è per me legata ad un “ascolto” ed un “vivere”; la sua intima riuscita ad una crescita e comprensione che lavora su vari livelli.
“Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l´universo è pari al suo smisurato appetito.
Com´è grande il mondo al lume delle lampade!
Com´è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!
Charles Baudelaire (A Maxime Du Camp)
Perché documentare il mondo, ciò che ci circonda, con la fotografia?
La fotografia come la scrittura ha il potere di lasciare spazio ad un immaginario perché si tratta di una rappresentazione personale della realtà. Ho studiato pittura all’Accademia di Belle Arti, e la fase più importante del mio percorso è stata senza dubbio la fase dell’osservazione.
Non ho mai studiato a livello accademico la fotografia, ed è forse per questo motivo che è sempre stato un mio spazio “sacro”. La libertà totale di composizione, nella fotografia, nella scrittura, come nella pittura, permette di integrare oppure omettere dettagli che arricchiscono o spogliano un’immagine a secondo del significato che si cerca di esprimere. Proprio come gli aggettivi nella scrittura, la scelta compositiva è un libero arbitrio che consente di dare un significato alla propria visione.
Nelle mie fotografie non esiste mai la messa in scena; tutto è esattamente come l’ho trovato, altrimenti non scatto. Non amo alterare la realtà, perché mi piace trovare e ricercare scenari che considero perfetti, quasi come un gioco, cercando di rendere la mia presenza in piena armonia con il mio soggetto.
Giudo Giudi diceva: “Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo”. Lavoro quasi sempre con un grandangolare per contestualizzare i soggetti nel loro ambiente; quell’aria mi consente poi di rivivere meglio quel momento, non solo con gli occhi ma anche con tutto il mio corpo.
La fotografia rappresenta per me anche “memoria”. Ho il bisogno di documentare e archiviare, come fosse una necessità esistenziale, forse anche quasi una patologia, ma una spinta emotiva radicata profondamente dentro di me da sempre. Semplicemente la fotografia è un mio strumento.
Come nasce il progetto fotografico Ethiopia?
Feci il mio primo viaggio in Etiopia nel 2007 per documentare l’apertura di alcuni pozzi nella regione di Gambella, al confine con il Sudan, tramite la Fondazione Butterfly onlus. Allora non avevo idea che sarei tornata più di 20 volte in questo Paese che non smetto mai di conoscere e riconoscere durante ogni mio nuovo viaggio.
L’anno scorso decisi che volevo fare qualcosa del mio immenso archivio. Così partì l’idea di un libro fotografico con lo scopo di condividere la mia esperienza. Ho passato molto tempo in luoghi e condizioni difficili, di estrema povertà e sofferenza. Sono diventata molto critica verso la fotografia che mira ad evocare il senso di colpa sfruttando la debolezza del prossimo. Inoltre, spesso le fotografie sono rubate e negate al soggetto in causa. Il mio senso di fare fotografia mira ad altri orizzonti, la fotografia come il viaggio, è per me una disciplina che lavora di pari passo con uno scambio basato sul rispetto.
Nel mio lavoro ho dunque deciso di non mostrare questo comune aspetto presente nell’immaginario collettivo del terzo mondo, ma piuttosto di rendere omaggio ad un popolo che mi ha accolto nelle sue case, nella sua quotidianità e fragilità, facendo in modo che tutto quello che mi è stato donato sia a livello personale che attraverso le mie fotografie, potesse avere una “restituzione”. Così ho deciso che l’energia di questo progetto doveva tornare poi nella sua terra, così che questo libro non profit sarà in grado di riportare nuovamente acqua, ossia energia a questo popolo. Il libro oggi è accompagnato da una mostra itinerante che è alla sua terza tappa.
Perché hai deciso di partecipare al festival IT.A.CÀ?
Credo che si debba in qualche modo cercare di riparare ai danni causati dal boom del turismo di massa avvenuto negli ultimi 30 anni. Mi viene da piangere quando vedo un “costa crociere” all’orizzonte di un mare incontaminato, oppure semplicemente solo quando sento nominare la parola “villaggio turistico”. Sensibilizzare il tema del turismo responsabile può davvero cambiare qualcosa nel mondo, perché oggi c’è bisogno di molta più consapevolezza e di molto più rispetto.
Viaggiare è diventato oggigiorno semplice, veloce, economico, e non è più come una volta la pianificazione di un viaggio alla scoperta d’incontaminate terre e civiltà. Si è perso anche il senso della scoperta attraverso la divulgazione di troppe immagini che annullano il senso di sorpresa. É anche facile annoiarsi nel vedere immagini che consideriamo quasi banali, non perché le abbiamo vissute, ma perché le abbiamo viste in televisione, sui giornali o sui social network. Purtroppo la maggiore parte delle mete che hanno accolto i flussi migratori di turisti, quasi come un’invasione di locuste, non ha fatto altro che alterare una naturalezza sia ambientale che sociale.
Il turismo di massa ha illuso il terzo mondo, dando apparenti benefici iniziali, che oggi contribuiscono sia al degrado sia alla povertà locale di popoli resi dipendenti economicamente da qualcosa di esterno. Questo causa spesso la perdita delle tradizioni e la prostituzione di culture che oggi avrebbero ancora molto da insegnarci. Questa terra è talmente bella che pare che l’uomo non sappia cosa farne di tutta questa bellezza.
Auguriamo tanti altri viaggi alla fotografa Coralie Maneri e che possa darci la possibilità di viaggiare da casa con altre bellissime immagini suggestive in giro per il mondo…
Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze
Kostantin Kavafis
Rubrica “In viaggio verso IT.A.CA”
Francesca Panizzoli
Sonia Bregoli
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